Dal progetto educativo individualizzato al progetto di vita


17 Novembre 2021

Introduzione:
Accompagnare la persona con disabilità nella ricomposizione della propria vita significa riconoscerlo come attivo costruttore del proprio disegno di vita e quindi come capace di vivere e di scegliere le proprie prospettive.

Di Marilena Marrone, pedagogista e socia-fondatrice Fe.D.Man. 

L’accompagnamento competente dell’educatore, che si prende cura delle persone con disabilità in chiave inclusiva, non può non essere un intenzionale processo di emancipazione, liberatorio delle umane potenzialità che vanno riorganizzate in vista d’una funzionale progettazione esistenziale.

In tale dimensione prospettica, si tratta di incentivare la realizzazione di modelli progettuali orientati al futuro, capaci di organizzare, costruire eventi, simboli, risorse, occasioni di cambiamento per chi ha smarrito il senso dell’esistenza[1]. All’interno di questa dimensione prospettica, occorre promuovere la realizzazione di modelli progettuali orientati al futuro, capaci di organizzare, costruire ed interpretare eventi, simboli, risorse, occasioni di cambiamento per chi ha smarrito il senso di dell’esistenza.

Il processo di inclusione necessita di elaborare progetti che sappiano guardare oltre la relazione all’interno del servizio educativo, o calibrate nella singolarità delle particolari condizioni di vita attuali, nelle azioni e nei gesti di cura progettati per la persona con disabilità: l’inclusione necessita di un allargamento di confini, della diffusività delle competenze che debbono essere patrimonio comune dell’umanità, a servizio dei bisogni educativi speciali e non di tutti e di ciascun educando[2]. Accompagnare la persona con disabilità nella ricomposizione della propria vita significa riconoscerlo come attivo costruttore del proprio disegno di vita e quindi come capace di vivere e di scegliere le proprie prospettive[3]. Occorrerà quindi mettere la persona di fronte al proprio racconto di vita, alle teorie ed emozioni del presente. Si evince la necessità di elaborare progetti educativi che sappiano guardare oltre il presente e che siano quindi orientati verso una progettazione esistenziale. “Fare un progetto di vita è innanzitutto un “pensare” in prospettiva futura e contemporaneamente un preparare le azioni necessarie, prevedere le varie fasi, gestire i tempi, valutare i pro e i contro, comprendere la fattibilità[4]”.

Il progetto di vita permette il passaggio da una visione di risposta parcellizzata o di risposta all’emergenza del problema ad una visone progettuale a lungo termine. L’educatore professionale è chiamato a costruire l’inclusione sociale mediante l’attivazione di reti di sostegno ed aiuto che coinvolgono, in progetti concreti, funzionali ai bisogni educativi emergenti e di varia natura, la pluralità delle istituzioni e dei luoghi formativi formali ed informali e i micro e macro contesti di vita delle persone tutte. Il progetto di vita rappresenta lo strumento principale mediante il quale garantire una presa in carico globale dei bisogni della persona tenendo conto delle diverse fasi del ciclo esistenziale evitando che venga attivata una cura autentica attenzione alle specificità della persona e delle relazioni che esistono tra i diversi contesti famiglia, scuola, formazione, lavoro, tempo libero, sanità, riabilitazione, assistenza sociale. Il progetto di vita non si limita a dare risposte alle condizioni attuali, esso rappresenta il senso della domanda esistenziale che si costruisce e si organizza in costante evoluzione nel qui ed ora, con l’assunzione delle responsabilità personali. Ogni progetto di vita deve tener presente le specifiche potenzialità, limiti e risorse della persona con disabilità. Narrarsi per la persona con disabilità molto spesso significa accettare di riconoscere la propria esistenza per costruire quotidianamente il personale Progetto di vita, nel rispetto delle personali potenzialità, a partire proprio da quelle necessarie per crescere e realizzarsi in mezzo agli altri nell’autenticità e positività delle relazioni sociali e culturali instaurate nei micro e macro contesti di vita[5]. In questa direzione l’approccio narrativo – autobiografico funge da evidente strumento unificatore, da significativo sfondo connettivo che si rivela uno strumento fondamentale per i professionisti della cura dell’aiuto nell’ambito dell’educazione inclusiva. L’utilizzazione delle pratiche e delle tecniche narrative è efficace per conoscere e sostenere i reali bisogni formativi della persona con deficit, in quanto, nello specifico della questione, riesce a far riflettere educatori ed educandi su alcuni elementi chiave del processo d’integrazione ed inclusione stesso ovvero, sulle:

  • sugli stili e modi di pensare, abitudini ad interrogarsi rispetto alla propria storia esistenziale, forme e modalità espressivo – comunicative, situazioni emotive, declinazioni a raccontarsi con qualsiasi mezzo e strumento;
  • sull’idea di sé e sulla collocazione di sé nel mondo, nonostante la presenza e la necessaria convivenza col deficit (stereotipi, stima e fiducia nelle personali capacità, senso di adeguatezza, voglia di continuare ad apprendere, a crescere, crisi, evoluzioni, adattamenti, limiti e risorse nelle relazioni sociali);
  • sulla disponibilità a progettare la propria esistenza (progetti interrotti, idee sul futuro, predisposizione a costruire e a realizzare modelli, teorie, mappe orientative, responsabilizzazione verso eventuali scelte con relative capacità decisionali, disposizione al cambiamento, etc.);
  • sulla possibilità di costruire un percorso di resilienza finalizzato all’attivazione di un processo dialettico significativo nelle interazioni tra la persona e l’ambiente in cui abita;
  • sulla qualità e quantità dei rapporti e delle relazioni socio-culturali, in ambito extra-scolastico;
  • sul livello della cultura familiare di appartenenza e sul clima di accettazione (valori, ritmi, tempi familiari, eventi, critici, solidarietà, qualità dei rapporti coi genitori e fra genitori e altri membri della famiglia, apertura al mondo esterno della famiglia);
  • sulla qualità e quantità di punti di riferimento, di sostegni e di aiuti individuati o progettati nella rete dei micro e macro sistemi sociali e culturali di appartenenza;
  • sull’esistenza o sulla promozione di una soddisfacente vita affettiva, sessuale ed amicale;
  • sull’orientamento e sul livello di riconoscimento e di gratificazione esistenti nella dimensione sociale e lavorativa[6].

Si tratta, in ultima analisi, di tracce che suggeriscono possibili itinerari educativi per meglio comprendere i profili evolutivi dei soggetti che si presentano ai servizi con le loro plurali e differenti declinazioni, sfidanti la capacità generativa di pensare ad azioni ed iniziative, dotate di senso ed ancorate ad elementi di analisi e ricognizione, capaci di tessere nuovi intrecci di storia, di costruire ed offrire altre opportunità di socialità, relazione, crescita soggettiva e collettiva[7]. Occorre quindi come educatori aiutare il soggetto con disabilità a riprendersi cura di sé, ad essere protagoniste nella personale costruzione dell’esistenza, continuamente sottoposta ad evoluzioni e a trasformazioni che richiedono costanti ristrutturazioni ed adattamenti nel corso del tempo. Occorre fare ciò avendo come finalità prima il perseguimento del benessere della vita e di quindi di partecipazione sociale e culturale nel contesto in cui si abita andando così a scoprire gradualmente le direzioni positive da imprimere alla personale esistenza[8].

Di Marilena Marrone, pedagogista e socia-fondatrice di Fe.D.Man.

[1]                   Franchini R., Disabilità, cura educativa e progetto di vita, Erickson, Trento, 2007.

[2]                    Franchini R., Costruire la comunità – che – – cura. Pedagogia e didattica nei servizi di aiuto alla persona, Franco Angeli, Milano, 2001.

[3]                    Vattimo G., La società trasparente, Garzanti, Milano, 1989.

[4]                    Ianes D., Progetto di vita e famiglia alla luce dell’ICF/OMS, in M. Pavone (a cura di), Famiglia e progetto di vita. Crescere un figlio disabile dalla nascita alla vita adulta, op. cit., p. 168.

[5]                 Medeghini R., (a cura di), Disabilità e corso di vita. Traiettorie, appartenenze e processi di inclusione delle differenze, Franco Angeli, Milano, 2006.

[6]          Demetrio D., L’età adulta. Teorie dell’identità e pedagogie dello sviluppo, Carocci, Roma, 2003

[7]                    Aldini S., Progetto di vita, in Ferrini E., Nicotra M., (a cura di), Parole che parlano. Mediatori per aprire dialoghi, Erickson, Trento, 2009.

[8]                   Batini F., Giusti S., (a cura di), Le storie siamo noi. Gestire le scelte e costruire la propria vita con le narrazioni, Liguori, Napoli, 2009.

Dal progetto educativo individualizzato al progetto di vita


17 Novembre 2021

Introduzione:
Accompagnare la persona con disabilità nella ricomposizione della propria vita significa riconoscerlo come attivo costruttore del proprio disegno di vita e quindi come capace di vivere e di scegliere le proprie prospettive.

Di Marilena Marrone, pedagogista e socia-fondatrice Fe.D.Man. 

L’accompagnamento competente dell’educatore, che si prende cura delle persone con disabilità in chiave inclusiva, non può non essere un intenzionale processo di emancipazione, liberatorio delle umane potenzialità che vanno riorganizzate in vista d’una funzionale progettazione esistenziale.

In tale dimensione prospettica, si tratta di incentivare la realizzazione di modelli progettuali orientati al futuro, capaci di organizzare, costruire eventi, simboli, risorse, occasioni di cambiamento per chi ha smarrito il senso dell’esistenza[1]. All’interno di questa dimensione prospettica, occorre promuovere la realizzazione di modelli progettuali orientati al futuro, capaci di organizzare, costruire ed interpretare eventi, simboli, risorse, occasioni di cambiamento per chi ha smarrito il senso di dell’esistenza.

Il processo di inclusione necessita di elaborare progetti che sappiano guardare oltre la relazione all’interno del servizio educativo, o calibrate nella singolarità delle particolari condizioni di vita attuali, nelle azioni e nei gesti di cura progettati per la persona con disabilità: l’inclusione necessita di un allargamento di confini, della diffusività delle competenze che debbono essere patrimonio comune dell’umanità, a servizio dei bisogni educativi speciali e non di tutti e di ciascun educando[2]. Accompagnare la persona con disabilità nella ricomposizione della propria vita significa riconoscerlo come attivo costruttore del proprio disegno di vita e quindi come capace di vivere e di scegliere le proprie prospettive[3]. Occorrerà quindi mettere la persona di fronte al proprio racconto di vita, alle teorie ed emozioni del presente. Si evince la necessità di elaborare progetti educativi che sappiano guardare oltre il presente e che siano quindi orientati verso una progettazione esistenziale. “Fare un progetto di vita è innanzitutto un “pensare” in prospettiva futura e contemporaneamente un preparare le azioni necessarie, prevedere le varie fasi, gestire i tempi, valutare i pro e i contro, comprendere la fattibilità[4]”.

Il progetto di vita permette il passaggio da una visione di risposta parcellizzata o di risposta all’emergenza del problema ad una visone progettuale a lungo termine. L’educatore professionale è chiamato a costruire l’inclusione sociale mediante l’attivazione di reti di sostegno ed aiuto che coinvolgono, in progetti concreti, funzionali ai bisogni educativi emergenti e di varia natura, la pluralità delle istituzioni e dei luoghi formativi formali ed informali e i micro e macro contesti di vita delle persone tutte. Il progetto di vita rappresenta lo strumento principale mediante il quale garantire una presa in carico globale dei bisogni della persona tenendo conto delle diverse fasi del ciclo esistenziale evitando che venga attivata una cura autentica attenzione alle specificità della persona e delle relazioni che esistono tra i diversi contesti famiglia, scuola, formazione, lavoro, tempo libero, sanità, riabilitazione, assistenza sociale. Il progetto di vita non si limita a dare risposte alle condizioni attuali, esso rappresenta il senso della domanda esistenziale che si costruisce e si organizza in costante evoluzione nel qui ed ora, con l’assunzione delle responsabilità personali. Ogni progetto di vita deve tener presente le specifiche potenzialità, limiti e risorse della persona con disabilità. Narrarsi per la persona con disabilità molto spesso significa accettare di riconoscere la propria esistenza per costruire quotidianamente il personale Progetto di vita, nel rispetto delle personali potenzialità, a partire proprio da quelle necessarie per crescere e realizzarsi in mezzo agli altri nell’autenticità e positività delle relazioni sociali e culturali instaurate nei micro e macro contesti di vita[5]. In questa direzione l’approccio narrativo – autobiografico funge da evidente strumento unificatore, da significativo sfondo connettivo che si rivela uno strumento fondamentale per i professionisti della cura dell’aiuto nell’ambito dell’educazione inclusiva. L’utilizzazione delle pratiche e delle tecniche narrative è efficace per conoscere e sostenere i reali bisogni formativi della persona con deficit, in quanto, nello specifico della questione, riesce a far riflettere educatori ed educandi su alcuni elementi chiave del processo d’integrazione ed inclusione stesso ovvero, sulle:

  • sugli stili e modi di pensare, abitudini ad interrogarsi rispetto alla propria storia esistenziale, forme e modalità espressivo – comunicative, situazioni emotive, declinazioni a raccontarsi con qualsiasi mezzo e strumento;
  • sull’idea di sé e sulla collocazione di sé nel mondo, nonostante la presenza e la necessaria convivenza col deficit (stereotipi, stima e fiducia nelle personali capacità, senso di adeguatezza, voglia di continuare ad apprendere, a crescere, crisi, evoluzioni, adattamenti, limiti e risorse nelle relazioni sociali);
  • sulla disponibilità a progettare la propria esistenza (progetti interrotti, idee sul futuro, predisposizione a costruire e a realizzare modelli, teorie, mappe orientative, responsabilizzazione verso eventuali scelte con relative capacità decisionali, disposizione al cambiamento, etc.);
  • sulla possibilità di costruire un percorso di resilienza finalizzato all’attivazione di un processo dialettico significativo nelle interazioni tra la persona e l’ambiente in cui abita;
  • sulla qualità e quantità dei rapporti e delle relazioni socio-culturali, in ambito extra-scolastico;
  • sul livello della cultura familiare di appartenenza e sul clima di accettazione (valori, ritmi, tempi familiari, eventi, critici, solidarietà, qualità dei rapporti coi genitori e fra genitori e altri membri della famiglia, apertura al mondo esterno della famiglia);
  • sulla qualità e quantità di punti di riferimento, di sostegni e di aiuti individuati o progettati nella rete dei micro e macro sistemi sociali e culturali di appartenenza;
  • sull’esistenza o sulla promozione di una soddisfacente vita affettiva, sessuale ed amicale;
  • sull’orientamento e sul livello di riconoscimento e di gratificazione esistenti nella dimensione sociale e lavorativa[6].

Si tratta, in ultima analisi, di tracce che suggeriscono possibili itinerari educativi per meglio comprendere i profili evolutivi dei soggetti che si presentano ai servizi con le loro plurali e differenti declinazioni, sfidanti la capacità generativa di pensare ad azioni ed iniziative, dotate di senso ed ancorate ad elementi di analisi e ricognizione, capaci di tessere nuovi intrecci di storia, di costruire ed offrire altre opportunità di socialità, relazione, crescita soggettiva e collettiva[7]. Occorre quindi come educatori aiutare il soggetto con disabilità a riprendersi cura di sé, ad essere protagoniste nella personale costruzione dell’esistenza, continuamente sottoposta ad evoluzioni e a trasformazioni che richiedono costanti ristrutturazioni ed adattamenti nel corso del tempo. Occorre fare ciò avendo come finalità prima il perseguimento del benessere della vita e di quindi di partecipazione sociale e culturale nel contesto in cui si abita andando così a scoprire gradualmente le direzioni positive da imprimere alla personale esistenza[8].

Di Marilena Marrone, pedagogista e socia-fondatrice di Fe.D.Man.

[1]                   Franchini R., Disabilità, cura educativa e progetto di vita, Erickson, Trento, 2007.

[2]                    Franchini R., Costruire la comunità – che – – cura. Pedagogia e didattica nei servizi di aiuto alla persona, Franco Angeli, Milano, 2001.

[3]                    Vattimo G., La società trasparente, Garzanti, Milano, 1989.

[4]                    Ianes D., Progetto di vita e famiglia alla luce dell’ICF/OMS, in M. Pavone (a cura di), Famiglia e progetto di vita. Crescere un figlio disabile dalla nascita alla vita adulta, op. cit., p. 168.

[5]                 Medeghini R., (a cura di), Disabilità e corso di vita. Traiettorie, appartenenze e processi di inclusione delle differenze, Franco Angeli, Milano, 2006.

[6]          Demetrio D., L’età adulta. Teorie dell’identità e pedagogie dello sviluppo, Carocci, Roma, 2003

[7]                    Aldini S., Progetto di vita, in Ferrini E., Nicotra M., (a cura di), Parole che parlano. Mediatori per aprire dialoghi, Erickson, Trento, 2009.

[8]                   Batini F., Giusti S., (a cura di), Le storie siamo noi. Gestire le scelte e costruire la propria vita con le narrazioni, Liguori, Napoli, 2009.

Torna in cima