Di Valentina Facchinetti
Il 19 aprile in occasione del workshop organizzato dalla Provincia di Varese nella bellissima villa Recalcati, ho presentato il mio project work “Il disability manager nelle cooperative sociali. Una prima analisi esplorativa”. Il project work costituisce l’elaborato finale del Master Executive in Disability Management che ho conseguito alla School of Management di Torino.
All’incontro hanno partecipato le cooperative del territorio che sono state parte attiva del progetto formativo consulenziale di miglioramento della filiera dell’inclusione lavorativa promosso proprio dalla Provincia di Varese.
Il workshop, a cui sono stata invitata da Sergio Bevilacqua, esperto di gestione strategica delle reti e servizi per il lavoro, è stato introdotto da Francesco Maresca del settore lavoro, Raffaella Cirillo responsabile del collocamento mirato e da Massimo Magni di Fe.d.man, che ha presentato la nostra Federazione e ha illustrato il ruolo e le funzioni del disability manager.
Ed è proprio sul disability manager nelle cooperative sociali di tipo B che si è focalizzata la ricerca alla base del project work a cui hanno preso parte 26 cooperative lombarde, alcune delle quali del territorio di Varese.
Il tema del disability management, infatti, è spesso associato al mondo delle aziende for profit che cominciano ad avvicinarsi a queste tematiche considerandole strategiche per lo sviluppo della propria impresa. Al contrario, se ne sente parlare meno in relazione alle cooperative B che, di fatto, da più di trent’anni conducono attività imprenditoriali nel libero mercato facendo contemporaneamente inclusione lavorativa. Per questo, nella ricerca mi sono domandata se il responsabile sociale di cooperativa (o responsabile inserimenti lavorativi – RIL) sia a tutti gli effetti un disability manager e quanto questa figura e le politiche di inclusione siano presidiate e considerate strategiche nelle cooperative B del territorio lombardo.
Il governo dei processi di inclusione tra responsabile degli inserimenti lavorativi di cooperativa e disability manager
Come descritto nel Quadro degli standard professionali di Regione Lombardia, il Disability manager, tra le altre cose, presidia i processi di inclusione lavorativa gestendo e progettando le attività di recruiting, selezione, avvio e consolidamento del rapporto di lavoro. Relativamente a questa macroarea di attività, RIL e disability manager corrispondono: in tutte le cooperative che hanno partecipato alla ricerca, infatti, il responsabile sociale è il regista indiscusso dei processi di inclusione. Il RIL partecipa infatti ai colloqui di selezione, predispone l’ambiente di lavoro per l’ingresso della persona con disabilità favorendo la formazione e l’informazione del gruppo di lavoro, si interfaccia con i servizi territoriali che hanno in carico la persona, garantendo così una presa in carico globale, si attiva per l’implementazione degli accomodamenti ragionevoli e collabora con il tutor aziendale per la buona riuscita del percorso.
Limitatamente al presidio dei percorsi di inclusione, quindi, sembrerebbe che le due figure corrispondano.
Il livello di consapevolezza sulle politiche di inclusione attivate in cooperativa
L’area di azione del disability manager, tuttavia, non si limita al coordinamento dei singoli processi di inclusione, ma si estende verso una dimensione più manageriale di proposta e organizzazione di azioni miranti al miglioramento complessivo dell’inclusione nell’impresa. Il disability agisce sul contesto organizzativo sollecitando e proponendo alla direzione strategie e iniziative per migliorare l’inclusione al di là del singolo percorso di inserimento lavorativo. Ad esempio, attraverso azioni mirate sugli stakeholder esterni, proposte di momenti di sensibilizzazione aziendale su alcuni temi specifici, assesment sul livello percepito di accessibilità da parte dei dipendenti, misurazione e valorizzazione dell’impatto sociale generato sui territori, implementazione di criteri inclusivi di valutazione dell’operato dei dipendenti con disabilità, ecc.
Sul punto, i dati della ricerca ci dicono che non sempre il responsabile dell’inclusione lavorativa di cooperativa è a tutti gli effetti un disability manager.
In generale, infatti, le cooperative del campione non investono particolarmente sull’analisi dei propri punti di forza e di debolezza rispetto alle proprie pratiche e processi di inclusione, né sono abituate a sondare il livello di accessibilità e di inclusione percepito dai dipendenti.
Risultati simili emergono in riferimento all’abitudine delle cooperative ad attivare momenti interni di scambio informale o di formazione vera e propria sulle tematiche legate all’inclusione (es. stereotipi, pregiudizi, accessibilità digitale, leadership inclusiva).
Chi è il Responsabile dell’inclusione lavorativa nelle cooperative B?
Abbiamo visto che il RIL non sempre è un disability manager se si considera la parte di promozione di azioni strategiche finalizzate al miglioramento dell’inclusione lavorativa in cooperativa. Senza l’ambizione di fornire una risposta esaustiva sulle motivazioni alla base di questo, attraverso la ricerca sulle 26 cooperative lombarde si è cercato di tracciare un profilo del responsabile sociale di cooperativa per comprenderne meglio le caratteristiche, il tempo lavoro a disposizione e la rete a cui si può rivolgere in caso di necessità di confronto.
I risultati mostrano che non sempre il responsabile sociale è nominato con atto formale, anche se nella maggioranza dei casi è comunque una persona che svolge “de facto” le mansioni del RIL e che è identificabile come tale.
Il quadro che emerge è quello di un responsabile sociale che si forma facendo e che svolge contemporaneamente più funzioni, anche diverse tra loro e molto rilevanti (es. rappresentante legale, direttore, ecc.), con il risultato che il tempo dedicato all’inclusione lavorativa potrebbe contrarsi a seconda delle contingenze e delle altre priorità aziendali. Il fatto che, anche in ragione della dimensione della cooperativa, raramente il monte ore mensile sia interamente dedicato al ruolo impone infatti, probabilmente, un continuo bilanciamento tra le esigenze produttive e l’inclusione lavorativa e potrebbe motivare, almeno in parte, la poca abitudine a presidiare le politiche di inclusione.
Il responsabile sociale si confronta con colleghi di altre realtà del territorio prevalentemente a livello informale e su iniziativa personale più che attraverso tavoli territoriali organizzati a livello sovra cooperativo. Questo aspetto sarebbe da approfondire ulteriormente soprattutto rispetto al ruolo dei consorzi di cooperativa e alla presenza (o assenza) di tavoli strutturati a livello sovra-cooperativo sul tema dell’inclusione, anche considerando la dimensione di alcune cooperative che certamente da sole non riescono ad investire su questa figura e a presidiare il tema delle politiche di inclusione.
L’opportunità dell’evoluzione del responsabile sociale in disability manager e di un maggiore presidio delle politiche di inclusione
Investire di più sulla figura del responsabile sociale contribuendo a farlo evolvere in disability manager potrebbe essere un’opportunità per un maggiore presidio e valorizzazione delle politiche di inclusione, che rappresentano un aspetto centrale dell’essenza stessa delle cooperative B.
Una figura con il mandato e con la possibilità di investire tempo e pensiero nella parte più manageriale dell’inclusione lavorativa, ossia ad esempio nella proposta di azioni migliorative e strategiche per lo sviluppo di impresa attraverso l’inclusione, potrebbe essere un’opportunità, sia a livello di singola cooperativa, sia a livello di rete territoriale.
Un presidio maggiore delle politiche di inclusione rappresenta una sfida, soprattutto se ciò venisse portato avanti in ottica territoriale sovra-cooperativa come azione di sistema.
Sviluppare prassi comuni di qualità sull’inclusione a livello sovra cooperativo costituisce un’opportunità per le cooperative B di unire le forze su un territorio, per cogliere e gestire meglio le sfide di impresa e potrebbe rappresentare uno strumento di pressione nei confronti dei committenti, soprattutto pubblici, se si sottolineasse meglio il livello di qualità dei percorsi di inserimento e l’impatto che ciò genera sui territori e sulla spesa pubblica1.
La garanzia di qualità, conseguente ad un percorso comune di riflessione, condivisione e miglioramento delle politiche di inclusione, rappresenterebbe quindi un plus rispetto a quei competitors esterni poco radicati sul territorio e non capaci di generare lo stesso impatto sociale. Un altro elemento da esplorare è, infatti, quello della valorizzazione dell’impatto sociale sui territori: la cooperazione ha un’esperienza sull’inclusione lavorativa che le aziende del mondo profit al momento non possono ancora vantare, i responsabili sociali possiedono un know-how generato dai molti e variegati processi di inclusione che da anni gestiscono, ma spesso questo aspetto non viene adeguatamente valorizzato e comunicato, come se fosse un elemento secondario dell’attività della cooperativa.
Una maggiore consapevolezza sulle proprie politiche e l’investimento di pensiero sull’inclusione a livello territoriale potrebbero portare ad una maggiore competitività delle imprese sociali sul mercato e aprire nuove opportunità di collaborazione con quella parte di aziende profit che si stanno via via sensibilizzando.
L’esperienza virtuosa di Varese
Il territorio varesino ha sperimentato ciò che in parte auspico nella mia ricerca: la promozione di un’azione di sistema e di una riflessione in chiave territoriale sull’inclusione lavorativa.
Tutto è partito dalla forza propulsiva dalla sezione lavoro della Provincia di Varese che ha promosso, grazie ai fondi del piano provinciale disabili, un percorso di formazione e consulenza mirante a costruire una filiera dell’inclusione lavorativa organica ed efficace, mettendo in rete gli attori che orbitano attorno ai processi (SIL, operatori centri per l’impiego, cooperative A e B, ecc.) con lo scopo di migliorare complessivamente tutto l’iter, dalla presa in carico fino al consolidamento del rapporto di lavoro.
Spesso, infatti, la mancata coerenza degli approcci dei vari attori che, ognuno per il proprio pezzo, lavorano al processo di inclusione socio-lavorativa rischia di far fallire i percorsi. L’idea, quindi, di riunire i diversi “nodi della rete” al fine di condividere lo stesso modello operativo e i riferimenti concettuali alla base del processo, è andata proprio nella direzione di favorire il dialogo tra gli enti ed evitare questo tipo di rischio, rispondendo più adeguatamente ai bisogni dei diversi stakeholders territoriali (persone con disabilità, associazioni, famiglie, aziende, consulenti del lavoro, ecc.).
Il progetto è stato portato avanti nel corso del 2023 e ha coinvolto una ventina di cooperative varesine che hanno partecipato attivamente a diversi laboratori sulle strategie di collaborazione, sullo sviluppo della cultura commerciale e sull’articolazione del processo di inclusione.
Il fatto partecipare ad un percorso formativo comune ha permesso loro di condividere le proprie modalità di azione e i possibili margini di miglioramento, sia sotto l’aspetto della gestione dell’inclusione in azienda che dal punto di vista commerciale. Importante è stata la trasversalità delle figure che hanno partecipato ai laboratori (commerciali, direttori e presidenti, responsabili sociali), poiché questo ha garantito un certo grado di consapevolezza interno e una tensione della cooperativa, intesa nel suo complesso, verso l’obiettivo.
Queste occasioni di scambio hanno generato una più profonda conoscenza reciproca tra le cooperative, che hanno continuato a lavorare insieme anche al termine dei laboratori. Sono state, inoltre, analizzate le modalità di gestione dei processi di inserimento in collaborazione con i servizi, con i quali il rapporto ne è uscito più consolidato. Non da ultimo, si è verificato il rafforzamento della capacità di offerta di nuovi servizi alle aziende profit con le quali collaborare sulla base di un paradigma comune che veda l’inclusione non più solo come obbligo normativo ma come potenziale risorsa.
In altre parole, le cooperative hanno investito sulle proprie politiche di inclusione divenendo più consapevoli della propria “capacità di agire come esperti della disabilità”2 e di quanto questo possa generare nuove opportunità di impresa e migliorare complessivamente l’efficacia dei percorsi di inserimento.
L’opportunità che le cooperative di Varese hanno cominciato a cogliere è quella di non considerare l’inclusione solo come un ambito da gestire separato dagli altri, ma come qualcosa sui cui investire che trasversalmente può apportare benefici ai vari ambiti dell’impresa, alla sua capacità di stare sul mercato e, quindi, al territorio in cui è radicata.
(Valentina Facchinetti, Disability Manager e Socia Fed.D.Man.)
————–
1 Si veda sul punto “Il valore creato dalle imprese sociali di inserimento lavorativo” di E. Chiaf in Rivista Impresa Sociale 0/2013.
2 R. Cirillo, S. Bevilacqua, M. Consoli Potenziamento della rete e della filiera dei servizi per migliorare l’efficacia dell’inclusione lavorativa delle persone con disabilità in Bollettino Adapt 11 marzo 2024 n. 10.